Le prove in mare
I Focus
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Le Rubriche
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- Frauscher X Porsche 858 Fantom Air, serie limitata
- Lift Foils Lift4, l’eFoil più tecnologico
Libri sul mare
- I NODI DEL PICCOLO MARINAIO di Miriam Lettori
- DI TERRA O DI MARE di Josep-Maria Gili e Begoña Vendrell
- BARCHE A VELA di Andrea Falcon
- L’ULTIMO VIAGGIO DELL’OCTAVIUS di Massimiliano Valentini e Alice Passeri
- IL POPOLO DEL MARE di James Wharram con Hanneke Boon
- ÁNEMOS di Fabio Fiori
Le ricette di CAMBUSA
L’editoriale
FIGURE EMERGENTI
Salgono a bordo, si guardano attorno incuriositi senza prestare molta attenzione ai discorsi degli altri invitati, poi si mettono a girare con i loro telefonini in mano e scattano, digitano, chattano, inquadrano – e soprattutto si inquadrano – seguendo una loro imperscrutabile logica. Ebbene sì, anche nella nautica sono arrivati gli influencer. Li ho scoperti “dal vivo” qualche mese fa, in occasione della presentazione di un nuovo modello di motoryacht, perché, fino ad allora, ne avevo soltanto letto con una certa curiosità, cercando di capire bene che tipo di mestiere facessero.
Devo confessarlo: parlando specificamente di nautica, non mi è chiaro neppure adesso che sono diventati una presenza pressoché costante in occasione di cocktail, conferenze stampa e – udite udite – persino di test in mare.
Conoscevo la figura del testimonial: un personaggio pubblico che presta il suo volto e la sua voce per trasferire nel prodotto di massa la simpatia, l’affezione, la stima, l’apprezzamento, la credibilità che il pubblico nutre per lui. Perciò Topo Gigio per Barilla, Nino Castelnuovo per Olio Cuore, Brad Pitt per Chanel, Antonio Banderas per Mulino Bianco, Alessandro Del Piero per Uliveto, tanto per pescare ad ampio raggio temporale tra nomi famosi.
L’influencer, invece, che è esso stesso un prodotto tipico dell’era social, dovrebbe attivare nel consumatore un meccanismo psicologico del tutto diverso, basato sull’emulazione o sulla riconosciuta competenza relativamente a una determinata materia.
Ed è proprio qui che mi perdo, poiché se da una parte non riesco a capire in che modo il potenziale armatore-tipo (un adulto di cultura medio-alta, con buone capacità di spesa) possa, come tale, identificarsi in una persona a lui sconosciuta che in quel momento ha una funzione di pura immagine (comprensibilmente più funzionale a un pubblico di giovani e giovanissimi), dall’altra non ho fino ad oggi incontrato un solo influencer che, a bordo, fosse in grado di capire qualcosa dell’ambiente in cui si trovava, vuoi dal punto di vista tecnico, vuoi da quello architettonico o di mercato.
Che ciò non abbia alcuna importanza agli occhi di chi si avvale di questo genere di collaborazioni è dimostrato dalla stupefacente nascita dei cosiddetti virtual influencer, cioè di persone finte, di fantocci, di “cartoni animati” destinati a diventare cyber celebrities. Lo stesso ridicolo florilegio di tali neologismi dimostra il vuoto sostanziale di cui sto parlando.
A questo punto devo specificare che non ce l’ho nel modo più assoluto con questa generazione di giovanissimi che, intelligentemente, ha trovato il modo di inserirsi in un mondo che i cosiddetti “esperti in comunicazione” hanno colpevolmente ormai quasi del tutto privato di figure professionali vere e proprie, cioè persone formatesi attraverso lo studio e l’esperienza.
Perciò comprendo – anche se la cosa mi dà la nausea – che a fronte di una figura in estinzione come quella del giornalista nascano e si diffondano i brand ambassador, i content creator, i talent. E gli influencer, appunto.
Tutte figure con le quali non sarebbe mai possibile costruire un organo di informazione degno di tale definizione. È facile dedurne che pure la figura dell’imprenditore che intende informare seriamente il suo possibile cliente, dunque rispettandone il comprendonio, è in via di estinzione. Perciò mi prendo la libertà di coniare un neologismo per definire la figura di chi sta prendendo il suo posto: vacuum seller.
Corradino Corbò