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L’editoriale
Quel Titanic che non affonda
La lista è lunga e continua a crescere. Con “Salvata dal Titanic” del regista francese Étienne Arnaud, protagonista l’attrice americana Dorothy Gibson, che era veramente a bordo del transatlantico britannico la notte del 15 aprile 1912, si è dato inizio a una filmografia che, ad oggi, conta ben 15 pellicole.
Campione di incassi, quel “Titanic” di James Cameron che qualche settimana fa, a ben venticinque anni dal suo stratosferico successo, contrassegnato da ben undici Academy Award, è uscito nelle sale cinematografiche in versione rimasterizzata 3D conquistando subito la vetta del box office. Ad accompagnare questa nuova uscita sono state le parole dello stesso regista, che ha dato una sua versione del perché il ciclico racconto di quel naufragio non corra il rischio di risultare monotono, suscitando noia o disinteresse.
E si è spinto oltre, affermando, in sostanza, che il suo film risulta più attuale oggi di quanto non lo fosse nel 1997, all’uscita della prima versione. Gli elementi richiamati dal regista sono: la diseguaglianza sociale, rappresentata in maniera plastica dalle tre classi della nave, che, disposte in senso verticale, devono essere percorse dal basso verso l’alto se si vuole tentare la salvezza; la natura guardata con sufficienza e disattenzione, rappresentata dall’acqua che, solidificata nell’iceberg, apre senza sforzo lo scafo d’acciaio dichiarato inaffondabile dai suoi costruttori; l’autodeterminazione della donna che, nella parte interpretata dall’attrice Kate Winslet, ribellandosi alle convenzioni quasi sempre imposte dall’uomo, pensa e decide per sé, salvandosi.
Quella di Cameron è una spiegazione colta, sociologica, persino escatologica. Tuttavia, per quei tanti che hanno visto persino più volte il suo film, quasi a voler risvegliare di volta in volta i fantasmi del loro subconscio, la motivazione è ben spiegata dallo psicologo Massimo Locatelli, professore di filmologia all’Università Cattolica di Milano, che nel suo “Thriller e noir nell’età dell’ansia” afferma: “diventa best seller la storia che sa cogliere un timore universale”.
Devo dire che, pur non essendo un amante di quel genere letterario e cinematografico, mi ritrovo abbastanza in questa definizione che dà un certo fondamento alla mia totale irrazionalità di quando, nel guardare per l’ennesima volta la scena della nave che accosta disperatamente a sinistra cercando di evitare l’impatto con il ghiaccio (non solo nel film di Cameron ma nella miriade di finzioni/animazioni dedicate al fatto), c’è una parte nascosta di me che fa il tifo e grida “dai, che ce la fai!”.
Per fortuna, però, ce n’è un’altra, raziocinante e pragmatica, che mi fa definire la storia di quel tragico viaggio inaugurale come un esempio di immensa stupidità umana. Questo perché, molto meno romanticamente di quanto possa raccontare un film, un saggio o un romanzo, il Titanic finì contro l’iceberg per lo stesso motivo di fondo che portò il Costa Concordia sugli scogli dell’Isola del Giglio. Idem, per quei motoscafi che, ogni tanto, fanno danni a qualcosa e a qualcuno. Stupidità, punto.
Ma a raccontarla così, nuda e cruda, la vicenda è molto meno affascinante. Per questo il Titanic non affonderà mai del tutto.
Corradino Corbò