Sommario
- In regalo una carta nautica
- Le tecniche per affrontare il cattivo tempo.
- Cura dell’ormeggio: quali accorgimenti per rendere minimo il disagio con il mare mosso.
- Carene tonde e carene a spigolo: differenze di linea e di materiali.
- Storie di autocostruzione: «Principessa»
- Sicurezza: inchiesta sui segnali pirotecnici
- Consigli per la pesca: la leccia
- I piccoli trucchi dei vagabondi del mare.
- Il nostro inviato fa il resoconto della Champagne Mumm Admiral’s Cup e del determinante Fastnet.
- Nautica ha provato in mare per voi, scoprendone pregi e difetti, le seguenti barche: Cantiere Navale Azzurro “Navetta 19,80”, Bertram 54 Convertible, Carnevali 50 Fly, Sciallino 40 Fly, Off Course 41 S, Sealine Statesman 420, Tiara 4300 Convertible, Marine Projects Princess V 40, Cat Harbor Cabo 35 Flybridge, Rio 750 Cruiser, Glastron GS 249 Sport Cruiser, Sea Ray 250 Sundancer, Larson Boats 215 Hampton
- 500 anni fa Giovanni Caboto approdava sulle coste canadesi. Ricordiamo la sua lunga navigazione.
- Nel Borneo malesiano sulle orme di Emilio Salgari, che ha affascinato generazioni con le sue avventure di mare.
- Sport: Campionati italiani IMS a Lavagna, Coppa del Re alle Baleari, Campionato Mondiale Optimist in Irlanda, Coppa Primavela a Porto Sangiorgio.
- Nella rubrica del charter tutto sul noleggio di una barca per il week-end.
Editoriale
Una lettera aperta che condividiamo
MALI D’ORMEGGIO
Tariffe d’ormeggio e accesso alla costa sono stati i principali punti dolenti della stagione, anche se molte sono state le lamentele pervenuteci ancora per le ispezioni in mare. Ma la nautica tutta rimarrà un problema, finché non si uscirà dalla logica dei provvedimenti tampone e non si avvierà una politica globale di settore, che coinvolga anche regioni ed enti locali.
Come abbiamo scritto sul precedente editoriale, le aperture politiche, anche molto significative, ottenute in questi ultimi tempi, nella pratica sono risultate meno incisive di quanto ci si aspettasse, soffocate come sono dalle complicazioni burocratiche. Ma, aggiungiamo, pure dai condizionamenti dalle realtà esistenti sul territorio, dove interessi consolidati nel privato e nel pubblico, legittimi o meno, con denaro pulito ma in qualche caso probabilmente sporco, ne annullano o minimizzano gli effetti. Siamo perciò lieti di pubblicare la lettera aperta inviataci da un crocierista di annosa esperienza e di grande competenza in campo normativo, come il magistrato Gianfranco Amendola, che i nostri lettori ben conoscono per i numerosi contributi di scritti e di pareri da lui dati alla rivista su tanti problemi dei diportisti. Essa è indirizzata al ministro dei Trasporti e Navigazione, Claudio Burlando, e fa seguito al nostro editoriale di settembre, riallacciandosi perfettamente alla linea della rivista e alle richieste da essa avanzate da tempo.
Anche se siamo per principio favorevoli all’iniziativa privata, siamo categoricamente contrari alle situazioni di monopolio.
La competenza dei comuni sulla portualità turistica non può assolutamente significare una privatizzazione selvaggia delle strutture pubbliche a danno degli utenti. Né i comuni possono pensare di lucrare sulle gestioni. Ci sembra opportuno ricordare in proposito quanto dichiarato da Enrico Leoncini rappresentante dell’A.N.CI., l’Associazione Nazionale dei Comuni d’Italia, al «Thalas» di Venturina:
«Piazze e porti sono nati come fatto pubblico, la civiltà del Mediterraneo è la civiltà dei porti, il porto è pubblico, non è rimessaggio privato… Dico che il ruolo del Comune non è quello di usare il porto per finanziare altre attività: non è questa la funzione del Comune e oltre tutto ciò è profondamente illegale… La funzione del Comune nel porto non è quella di guadagnarci, ma di gestirlo al pareggio di bilancio, che va sempre perseguito».
Che ad affermare ciò sia l’Anci è estremamente importante e ci auguriamo che i comuni interessati allo sviluppo della nautica vi si adeguino tutti.
Il discorso è diverso quando invece si parla di strutture private, dove rilevanti investimenti danno diritto a una remunerazione, che viene poi decisa nell’ottica della concorrenza. E nelle quali l’utente sceglie «liberamente» di entrare.
In ogni caso è bene ricordare che le infrastrutture portuali non appartengono ai comuni ma alla nazione, perché sono costruiti col denaro di tutti.
Perciò si deve pensare anche al turismo nautico di transito senza penalizzarlo, anzi stimolandolo, e da ciò la necessità di un effettivo controllo delle tariffe e dei servizi resi.
Per quanto invece riguarda l’accesso alle coste, è importante che le zone di balneazione siano tutte individuate e adeguatamente delimitate e segnalate, comprese le spiagge libere. Oltre tutto, per tali attività ora i comuni possono avvalersi anche dell’opera di associazioni di volontariato.
Non è possibile pensare agli 8.000 chilometri di coste come a un’unica, lunga linea di balneazione né, sotto lo stimolo dei titoli dei giornali, istericamente, dopo un incidente a mare, colpevolizzare tutti gli utenti costringendoli a mantenersi ovunque con le loro le barche a 200-300 metri dalla costa. Non vogliamo neanche immaginare ciò che sarebbe avvenuto se tutte le morti che purtroppo ci sono state in montagna quest’estate, si fossero verificate nella nautica.
L’unico punto su cui dissentiamo da Amendola è l’obbligo di ridurre la velocità a un miglio dalla costa. Ci sembra eccessivo, bastano due o trecento metri da terra, mentre estenderemmo i 100 metri anche alle barche appoggio e ai palloncini che segnalano i subacquei.
E concludiamo con l’ennesimo appello: Consentiamo all’iniziativa privata di costruire questi benedetti porticcioli. Passiamo dalle parole ai fatti. Quando c’è concorrenza il mercato si calmiera da solo.
Caro Ministro,
Le scrivo questa lettera perché finalmente, dopo decenni di immobilismo, con la sua gestione qualcosa ha iniziato a muoversi nel settore della nautica da diporto: la fine della estorsione legalizzata per VHF, il tentativo di razionalizzare e semplificare i controlli ecc. ecc.
E allora sento il bisogno di sottoporle due problemi che mi sembrano particolarmente urgenti, specie dopo quello che ho visto l’estate scorsa.
Il primo attiene alla privatizzazione dei porti pubblici. Capisco perfettamente che se si va in un porto privato (costruito da privati) occorre pagare le tariffe imposte dai privati stessi. Ma è assurdo che lo stesso principio valga per l’ormeggio nei porti pubblici (costruiti con soldi pubblici) che, per definizione, appartengono a tutti i cittadini soprattutto se pagano una tassa di stazionamento. È assurdo, tanto per fare un esempio, che oggi gran parte delle banchine dei porti pubblici siano date in gestione (direttamente o con l’aggiunta di banchine galleggianti) a privati o anche a Comuni, i quali fanno pagare le stesse tariffe dei porti privati (cfr. le tariffe di Porto Azzurro e di Riva di Traiano) senza averne sopportato e senza sopportarne i costi; anzi, spesso senza dare neppure gli stessi servizi, come è accaduto a luglio nell’isola del Giglio, ove il Comune, divenuto concessionario della banchina pubblica, pretendeva L. 6.000 a metro lineare (tariffa giornaliera) senza dare né corpo morto né acqua né luce né guardiania né assistenza; insomma, niente, esattamente come quando il Comune non era concessionario! Si impone, cioè una revisione della normativa con cui si sancisca che nei porti pubblici debba sempre restare per gli utenti la possibilità di scegliere il solo ormeggio (gratuito) ovvero l’uso dei servizi (corpo morto, acqua, luce, ecc.), pagando, in questa seconda ipotesi, tariffe predeterminate ed uguali per tutto il paese le quali siano, ovviamente, sensibilmente inferiori a quelle dei porti privati.
La seconda questione attiene alla revisione della normativa per l’ormeggio «libero», oggi totalmente disattesa ovvero applicata, saltuariamente (sotto ferragosto) e localmente, in modo indiscriminato ed assurdo. Sia chiaro, non si tratta solo di stabilire quali sono le coste «frequentate dai bagnanti», questione che ho invano cercato di far capire ad un marinaretto in una baia della Sardegna accessibile solo dal mare e dove gli unici bagnanti eravamo noi.
Si tratta di prendere atto del fatto che pretendere in modo indiscriminato (come fanno quasi tutte le ordinanze locali) che nessuna barca (compresi i gommoni) si ormeggi a meno di 200 metri dalla costa (che d’estate accoglie sempre qualche bagnante) significa eliminare la possibilità di ormeggio in buona parte delle coste italiane, quanto meno per l’impossibilità, molto spesso, di filare 50 metri di catena; ovvero significa impedire l’ormeggio nelle coste ridossate. Ben altro, a mio sommesso avviso, si dovrebbe fare: ad esempio, imporre (e far rispettare) l’obbligo di tenere il motore al minimo almeno ad un miglio dalla costa e di non avvicinarsi con motore acceso a meno di 100 metri da un bagnante, stabilire l’obbligo di adeguata distanza (da fissare caso per caso e segnalandola con cavi tarozzati, bandierine e corridoi) dagli stabilimenti balneari e dalle spiagge libere e, per il resto, stabilire una distanza minima anche in funzione della batimetrica ovvero lasciare libertà di ormeggio.
Che ne dice? Cordiali saluti ed auguri di buon lavoro.
Gianfranco Amendola